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Sono le persone a cambiare le organizzazioni o le organizzazioni a cambiare le persone? 

Sono le persone a cambiare le organizzazioni o le organizzazioni a cambiare le persone?

di Irene Morrione

La domanda sembra marzullesca e la risposta non è affatto semplice, ma il quesito è indubbiamente interessante.

Le persone cambiano le organizzazioni

Nel lavoro di ogni giorno con i leader all’interno delle organizzazioni ho sempre considerato come clienti le persone che ricevevano i nostri interventi di training o coaching o consulenza. Ho però notato nelle diverse esperienze come, in particolare lavorando su livelli manageriali rafforzando le competenze dei leader, rinforzando la loro motivazione e liberando il loro potenziale, questo avesse un impatto sull’intera organizzazione. 

Spesso abbiamo osservato come anche un cambio al vertice possa fortemente modificare la cultura dell’organizzazione. Ad esempio, ci è capitato di vedere come passare da un CEO molto attento alle persone, empatico e team builder ad uno più auto-riferito, attento soprattuto alle performance e con una leadership piuttosto direttiva, se nel breve periodo ha portato ad un alzamento delle performance di business complessive dell’organizzazione, nel lungo periodo ha portato ad una disaffezione delle persone, con un relativo innalzamento dei tassi di turnover e, conseguentemente, a una perdita dei migliori talenti fuoriusciti dall’azienda. 

Questo è il classico esempio in cui è stato dimostrato come le persone, in particolare quelle al vertice, possano fortemente influenzare la cultura organizzativa. L’aspetto interessate è che è vero anche il contrario. 

Le organizzazioni cambiano le persone

Mi è capitato, infatti, all’inizio della mia carriera, di lavorare in un’organizzazione fortemente dominata dalla paura: ogni errore era aspramente punito, le persone vivevano un senso di insicurezza rispetto al proprio posto di lavoro e tutto era gestito secondo uno stile di comando e controllo. 

Essendo molto giovane ancora ricordo come non mi fosse facile gestire questo tipo di emozioni negative: spesso mi sono anche ritrovata a piangere in bagno. Chiaramente non mi sono fatta molti amici in quel contesto, anzi ricordo ancora come il mio focus fosse rivolto a guardarmi le spalle e alla fine decisi di andare via. 

Dopo 10 anni ho rincontrato quelle persone che nel frattempo avevano anche loro cambiato azienda, lo stupore è stato quello di riscoprire persone completamente diverse da quello che era il mio ricordo: persone gentili, interessanti e piene di risorse che non avevo minimamente notato 10 anni prima. Ho avuto nettamente l’impressione che quel contesto organizzativo così disfunzionale avesse tirato fuori il peggio di loro e molto probabilmente il peggio di me, questo aveva avvelenato le relazioni, spingendo addirittura le persone a cambiare in peggio per difendersi. 

Sono le persone a cambiare le organizzazioni o le organizzazioni a cambiare le persone?

Mi viene dunque questa immagine di vasi comunicanti, dove persone e organizzazioni contribuiscono a creare una cultura, la quale ha però un impatto anche sulle persone stesse e sulle loro caratteristiche di personalità. In particolare penso a un giovane che si affaccia per la prima volta nel mondo del lavoro e a quanto sia importante possa essere inserito in un contesto “sano” dove poter essere la versione migliore di se stesso e dover poter scoprire e utilizzare le proprie potenzialità. 

In questo senso credo che la cultura del coaching e dunque lo sviluppo nei manager di coach abilities quali ascolto, presenza, fiducia… possa davvero contribuire a creare questo tipo di ambienti, in cui le giovani risorse possono fiorire e contribuire così a creare una società migliore. 

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