Nel film Follemente, l’ultimo di Paolo Genovese, i due personaggi non sono mai soli. Dietro ogni parola, gesto o esitazione ci sono le voci interiori che litigano, si scontrano, si correggono a vicenda. La parte ansiosa, quella che vuole scappare. La parte razionale. La parte infantile. La parte seduttiva. Tutte insieme, nello stesso corpo, allo stesso appuntamento. Sì, è una commedia. Ma anche un piccolo trattato di psicologia contemporanea. Perché funzioniamo proprio così. Anche – e soprattutto – al lavoro.
Siamo più di un ruolo: nella nostra testa siamo in tanti !
Ogni volta che entriamo in una riunione, che affrontiamo un confronto, che prendiamo una decisione… non entra solo il nostro badge aziendale. Entriamo in tanti. C’è la parte che vuole brillare. Quella che ha paura di sbagliare. Quella che si trattiene. Quella che giudica. Quella che si chiede: “E se non fosse la scelta giusta?”
Nella maggior parte dei contesti professionali, però, ci viene chiesto di portare solo una versione di noi. Quella competente. Sicura. Composta. Ma non funziona così. E più tentiamo di zittire le altre parti, più rischiamo di perdere pezzi importanti della nostra intelligenza emotiva, del nostro intuito, della nostra creatività.
La psicosintesi lo aveva già detto
Roberto Assagioli, psichiatra e fondatore della psicosintesi, parlava già nel secolo scorso di sub-personalità: le molte “voci” che abitano la nostra identità. Il lavoro interiore, diceva, non è scegliere quale voce tenere e quale eliminare, ma imparare a farle dialogare, integrarle, armonizzarle. E se questo vale per l’individuo, vale anche per le organizzazioni.
E se smettessimo di fingere di essere monolitici anche sul lavoro?
E se ammettessimo che a volte ci sentiamo fragili, anche se siamo leader?
E se ascoltassimo quella parte che si annoia profondamente durante certe call, perché ci sta dicendo qualcosa?
E se dessimo spazio anche alla parte ironica, istintiva, silenziosa?
Nel film, quelle voci rendono le scene vive, vere, profondamente umane. Nel lavoro, potrebbero fare lo stesso. Ma solo se smettiamo di pensare che la professionalità significhi censurare tutto ciò che non è “presentabile”.
Conclusione: la vera integrazione parte da dentro
Forse il vero lavoro del futuro non sarà solo sull’engagement, il purpose, il wellbeing. Sarà sul dare spazio a tutta la complessità dell’essere umano. Anche quella che non è nei job title. Follemente ci ricorda che tutti siamo affollati dentro. E va benissimo così.