Essere troppo impegnati non è per niente cool
Per quanto si possa avere la fortuna di amare il proprio lavoro, e io mi sento davvero tra questi privilegiati, il lavoro, anche il più bello e il più gratificante, porta con sé una serie di impegni: rispettare scadenze, rispondere a comunicazioni, ottenere risultati, raggiungere obiettivi.
Oggi, complice la tecnologia che agevola e velocizza gli scambi e favorisce il multitasking, gli impegni si sono moltiplicati. Per fortuna essere molto impegnati va davvero di moda. “Ho l’agenda strapiena”, “non trovo lo spazio”, “posso darti solo mezz’ora dalle 7 alle 7.30”, sono frasi che ascolto ogni giorno da colleghi e clienti. C’è anche un termine per definire il fenomeno: “busy bragging”, la tendenza, appunto, a vantarsi di essere sempre occupati.
Essere impegnati è diventato uno status. Il fenomeno è stato studiato recentemente anche da Silvia Bellezza, docente di psicologia del marketing alla Columbia Business School, che ha chiesto a un gruppo di persone di giudicare post di sconosciuti, ricavandone che chi è pieno di impegni viene considerato effettivamente di status superiore ed associato ad un maggior successo lavorativo.
Ma quali sono gli effetti sulle nostre vite? Il lavoro erode gli spazi del riposo, del pensiero, delle idee e delle passioni nella più completa inconsapevolezza delle persone che, come criceti sulle ruote, sono rafforzate in questo comportamento dal riconoscimento proveniente dalla società e quantificato nel numero di like ricevuti su LinkedIn.
Una delle conseguenze più gravi di stare costantemente sulla ruota riguarda il rischio di perdere il contatto con i propri autentici de-sideri. Il termine deriva dal latino e letteralmente significa, “mancanza di stelle”, nel senso di “avvertire la mancanza delle stelle”. Per estensione il desiderio è percezione di una mancanza e, di conseguenza, sentimento di ricerca appassionata.
Il desiderio è qualcosa che riusciamo a sentire in assenza di impegno perché implica presenza. Sono connesso con me stesso dunque mi accorgo che mi manca e quindi de-sidero quel qualcosa. Cosa voglio fare oggi? Una passeggiata con il cane, leggere un libro, scrivere un pensiero, pensare ad un sogno. Onestamente quanti di voi si concedono il lusso di chiedersi cosa desiderano fare?
Una volta proprio una top manager di un’azienda del lusso mi disse che per lei il lusso non è avere macchine, case o gioielli ma è la libertà di poter scegliere cosa fare del proprio tempo. In effetti se ci pensiamo, il tempo è l’unico bene che non torna mai indietro.
In aggiunta è stato ampiamente dimostrato da studi e ricerche che il tempo passato al lavoro non è direttamente proporzionale alla produttività. Ricordiamo a titolo di esempio, gli studi di Ericsson che nel 1993 dimostrò in un gruppo di musicisti che coloro che si esercitavano per non più di novanta minuti consecutivi con frequenti pause erano i più capaci. In particolare nei lavori creativi, idee, intuizioni, innovazioni nascono proprio nei momenti di nutrimento dell’anima e negli spazi di de-siderio.
Da quasi vent’anni lavoro nel settore della consulenza e pur occupandomi di benessere individuale ed organizzativo, nel mio settore lavorare la sera, i weekend, essere sempre reperibili è sempre stato la normalità. Recentemente ho iniziato una rivoluzione gentile rispetto a queste usanze. Nella mia società abbiamo inserito nel nostro ethos che chi lavora in “Into the change”: preserva il tempo fuori dal lavoro per vivere e curare le passioni e relazioni.
Io personalmente ho chiesto di non essere contattata fuori dall’orario lavorativo lun-ven 9-18.
Ci sono riuscita ? Ancora no. Continuo a ricevere frequentemente messaggi di colleghi e anche di clienti , fuori dall’orario che ho deciso di dedicare al lavoro. Sono consapevole che le persone non lo facciano per mancanza di rispetto, ma semplicemente perché per loro è normale.
Un invito gentile lo faccio proprio a chi opera nel mio settore e si occupa di benessere delle persone e delle organizzazioni: scendiamo dalla ruota.
Dare l’esempio è l’unica dimostrazione che un’altra strada è possibile.
Irene Morrione