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Pregiudizi sul coaching

Pregiudizi sul coaching

Coaching” è una parola molto usata, assistiamo oggi ad un proliferare di metodi e scuole tra cui spesso è difficile orientarsi. Trattandosi di una professione non riconosciuta non è facile conoscere e distinguere i diversi approcci e a volte anche i confini della professione stessa, che viene confusa con altri interventi, per certi versi sovrapponibili, come il mentoring, la consulenza o il counseling. 

Non tutti sanno che negli ultimi 50 anni è stato fatto un lavoro imponente e molto approfondito dalla International Coaching Federation, la più grande associazione di coach al mondo, che ha tracciato molto approfonditamente i confini della professione, definendo cosa è coaching e cosa non lo è. Inoltre ICF ha delineando in maniera specifica le competenze del coach professionista ed elaborato un codice etico fondamentale per chi vive la nostra professione. 

Lavorando in questo campo da più di 15 anni, mi capita spesso di sentire dei preguidizi rispetto al coaching, che si sono formati nella mente delle persone proprio a causa della grande diffusione di questo approccio. Vorrei dunque partire da questi pre-giudizi per sfatarne alcuni:

 

“Il coach è un motivatore”

Pregiudizi sul coaching Parzialmente vero.

Nei percorsi di coaching può accadere che uno dei temi del coachee riguardi la sua motivazione nel raggiungere determinati obiettivi, ma non è necessariamente così. Motivare non è tra i i compiti del coach, se non piuttosto, in alcuni casi, facilitare la persona nell’accedere all propria motivazione qualora ciò sia inerente agli obiettivi di coaching.

Il coach non è necessariamente colui che ti grida “ce la fai ce la fai”, quanto piuttosto uno specchio che ti aiuta a guardare dentro di te per trovare le tue risorse per farcela e/o che ti accompagna a guardare nel futuro per scoprire cosa è veramente importate per te, ovvero il nucleo della tua motivazione.

 

“Il coach ti aiuta a risolvere i problemi”

Falso.

Pregiudizi sul coaching L’essenza del coaching riguarda il definire e il raggiungere gli obiettivi nel futuro. Il coach a differenza di un consulente, ad esempio, non fornisce delle soluzioni concrete ai propri temi, anzi non entra proprio nel contenuto che viene portato dal suo cliente, quanto piuttosto si focalizza sulla relazione che c’è tra il cliente e il suo tema/problema. A volte la buona riuscita di un processo di coaching passa proprio dal non risolvere i propri problemi, dal non ritenerli più problemi o addirittura dal comprendere che è necessario rimanere in quel tema. Quando i coach che si stanno formando si liberano dall’ansia di voler risolvere i problemi del proprio coachee smettono di dare consigli e iniziano a fare i coach.

In una relazione di coaching è importante chiarire questo aspetto fin da subito in quello che noi chiamiamo “contratto”: non sono qui per risolvere i tuo problemi, ma per facilitarti nel delineare e raggiungere i tuoi obiettivi, la differenza è notevole.

 

“Il coaching non funziona, perché se non risolvi i problemi non raggiungi gli obiettivi”

Falso.

Pregiudizi sul coachingRispetto a questo pregiudizio mi piace utilizzare la metafora del viaggio. La natura stessa del coaching riguarda la definizione di obiettivi nel futuro e creare un ponte tra lo stato presente dell’oggi e lo stato desiderato del domani.
Utilizzo spesso una metafora dove l’obiettivo nel futuro è le meta di destinazione del viaggio che il coach e il coachee faranno insieme, durante questo viaggio il coachee potrebbe incontrare degli ostacoli, questi ostacoli a volte riguardano qualcosa del passato: temi e problemi di tipo psicologico che rallentano il coachee nel raggiungimento dei suoi obiettivi.

Un coach crede che non sia necessario andare a esplorare quei temi o problemi di tipo psicologico (come sono nati, dove si sono formati, da dove derivano…) affinché la persona possa raggiugnere ciò che desidera, semplicemente non è area di esplorazione del coach, quanto piuttosto di altre professioni, psicologo, psicoterapeuta ecc… non è detto però che questa esplorazione si renda necessaria per il raggiungimento degli obiettivi. È molto importante che il coach conosca i confini della professione e che, qualora la persona desideri andare a comprendere proprio quelle aree problematiche, sia in grado di  accorgersene e di indirizzare il cliente verso un altro tipo di professionista. Pensare, con gli strumenti di coaching, di poter lavorare in ambito psicologico su disagi o, peggio, patologie, non solo è inutile rispetto al processo di coaching, ma è anche molto pericoloso. Purtroppo il mercato del coaching è talmente vasto e poco regolamentato che molti colleghi al di fuori del frame molto rigido definito da ICF si arrogano questo diritto, creando così confusione e possibile conflitto tra le professioni, cosa che non accadrebbe se si conoscessero i confini e i processi di coaching.

“Il coach è tipo uno psicologo, ma meno formato”

Falso.

Pregiudizi sul coachingIl coach, come già detto, lavora nel facilitare la persone nel raggiungimento di determinati obiettivi, che per essere obiettivi “coachabili” devono avere determinate caratteristiche, ad esempio essere espressi in positivo (ciò che la persona vuole e non ciò che la persona non vuole) essere specifici e misurabili, essere sotto il controllo della persona stessa (ovvero nella sua sfera di potere), avere degli indicatori concreti e comportamentali, riguardare uno stato futuro.
Il coach, come anche ben descritto dalla definizione di coaching di ICF, lavora in partnership con il cliente ispirandolo a massimizzare il proprio potenziale, egli dunque non lavora sul disagio psicologico, su patologie psichiche, su traumi e su nulla che riguardi il passato della persona. Inoltre il coach ha una preparazione e una conoscenza ben diverse da quelle dello psicologo. Anche se sicuramente la conoscenza di alcune teorie e modelli psicologici è utile nello sviluppo della professione di coach, il coaching ha un processo suo proprio che prevede competenze e comportamenti specifici. Se di certo i coach non sono psicologi è vero anche il contrario, gli psicologi non sono necessariamente dei coach.

 

“Il coach lavora sulle performance”

Parzialmente vero.

Pregiudizi sul coachingSicuramente uno degli aspetti del coaching, in tutti i suoi campi (sport, business ecc.), può riguardare facilitare la persone nel miglioramento delle proprie performance. Allo stesso tempo il coaching non è un processo che riguarda solamente il fare, il coach, infatti, lavora prima di tutto sulla consapevolezza: non ci possono essere nuove azioni se non ce prima una nuova consapevolezza. Da questo punto di vista quindi, possono entrare in gioco anche le emozioni, le convinzioni, come la persona percepisce se stessa, gli altri e il mondo che la circonda, sempre però in una cornice importante che è quella dell’obiettivo. Questo vuol dire che nel coaching non si lavora su tematiche psicologiche generali come ad esempio l’autostima, ma si lavora sempre verso un’obiettivo ben definito, specifico e misurabile. Questo lavoro però implica sicuramene anche un’esplorazione del sè, ad esempio delle proprie leve di motivazione, dei punti di forza e delle qualità inesplorate o ancora sottoutilizzate.

 

“Il coach lavora nel colmare i gap”

Falso.

Pregiudizi sul coachingSoprattuto in azienda spesso i coach vengono chiamati con l’idea di aiutare le persone e i manager a colmare i gap: sviluppare comportamenti e competenze in cui le persone deficiano.
Questa aspettativa è del tutto sbagliata rispetto ad un percorso di coaching, nel nostro approccio infatti il coach si concentra prima di tutto su ciò che funziona: punti di forza, valori, forze, qualità, risorse che spesso sono già li, ma di cui la persoa, il coachee, non è ancora del tutto consapevole. In un approccio culturale tipicamente italiano dove fin dalla scuola ci hanno abituato a lavorare sui gap e ad aggiustare ciò che non funziona (tutti avranno avuto l’esperienza di essere stati mandati a ripetizione delle materie in cui eravamo meno bravi), il coaching porta una rivoluzione prima di tutto culturale. Lavorare sulle proprie forze, ovvero ciò che ci da energia e in cui siamo bravi per portarle all’eccellenza piuttosto che cercare di colmare i gap nelle aree che meno ci appassionano.
Nei nostri percorsi di professional coaching diciamo spesso che il coach è un cercatore di bellezza, questo significa che l’attenzione del coach si rivolge a quella parte dell’essere umano piena di grazia e bellezza dove il talento ancora inespresso non aspetta altro di essere scoperto e nutrito, attraverso questo processo di scoperta la persona diventa consapevole delle proprie eccellenze e potenzialità.. definendo per se stessa obiettivi motivanti e nutrienti. 

To be continued…

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